1 mag 2006

IL CRIMINE NON PAGA

Marcella Dell'Utri (fondatore di Forza Italia)
Le motivazioni con cui il fondatore di Forza Italia è stato condannato a 9 anni per associazione mafiosa. Dell'Utri, la sentenza dei giudici"Tramite tra mafia e Berlusconi""Consapevole e volontario contributo al rafforzamento di Cosa nostra"
Il senatore di Forza ItaliaMarcello Dell'Utri ROMA - La sentenza della condanna di Marcello Dell'Utri, esponente di spicco di Forza Italia, non usa mezzi termini. Per i giudici il comportamento tenuto dal senatore forzista "ha rafforzato Cosa nostra" e la sua condotta è stata quella "di tramite tra gli interessi della mafia e quelli di Berlusconi". Su questo punto ruotano le motivazioni della sentenza con la quale i giudici del tribunale di Palermo hanno inflitto lo scorso dicembre nove anni di reclusione per concorso in associazione mafiosa a Marcello Dell'Utri. Il collegio scrive che "la pluralità dell'attività posta in essere da Dell'Utri, per la rilevanza causale espressa, ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa nostra, alla quale è stata, tra l'altro offerta l'opportunità, sempre con la mediazione di Dell'Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell'economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che politici". Le motivazioni (1.768 pagine) sono state depositate oggi dai giudici della seconda sezione del tribunale presieduta da Leonardo Guarnotta (giudici estensori Gabriella Di Marco e Giuseppe Sgadari). A sette mesi e due giorni dalla lettura del dispositivo di sentenza nell'aula bunker del carcere di Pagliarelli, il collegio ricostruisce il dibattimento, in cui sono stati raccolti elementi probatori che hanno consentito di far luce su diversi episodi tra cui la posizione assunta dal parlamentare "nei confronti di esponenti di Cosa nostra, sui contatti diretti e personali con alcuni di essi (Bontate, Teresi, oltre a Mangano e Cinà), sul suo ruolo di costante mediazione tra Cosa Nostra e gli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi con particolare riguardo al gruppo Fininvest".
Il senatore in una nota dice che "da una sommaria lettura della sentenza, mi sembra di poter affermare che nonostante sette mesi impiegati dal Tribunale per scrivere le motivazioni, non si è andati oltre un acritico accoglimento delle tesi accusatorie. Tutta la mia vita di formazione, di famiglia e di lavoro - aggiunge - dimostra il contrario di ciò che vorrebbero provare 1.800 pagine inutilmente ripetitive". I giudici spiegano in 18 capitoli delle motivazioni che l'indagine dibattimentale ha avuto come oggetto fatti, episodi e avvenimenti svolti nell'arco di quasi un trentennio, e cioè dai primissimi anni Settanta sino alla fine del '98, quando il dibattimento era in corso da circa un anno, e ha esplorato le condotte tenute da Dell'Utri e dal coimputato Gaetano Cinà, anche lui condannato lo scorso dicembre. E' stato analizzato l'evolversi della carriera di Dell'Utri: da giovane laureato in giurisprudenza "a modesto ma ambizioso impiegato di un istituto di credito di un piccolo paese della provincia di Palermo" e a collaboratore "dell'amico Silvio Berlusconi (sirena al cui richiamo non aveva saputo resistere rinunciando ad un sicuro posto in banca e allontanandosi definitivamente dalla natia Palermo)". Poi ad amministratore di una impresa in stato di decozione, del gruppo facente capo a Filippo Alberto Rapisarda "con il quale ha intrattenuto, per sua stessa ammissione, un rapporto di amore-odio". E ancora: ideatore e creatore "della fortunata concessionaria di pubblicità Publitalia, polmone finanziario della Fininvest", organizzatore "del nascente movimento politico denominato Forza Italia", e deputato nazionale nel 1996, parlamentare europeo nel 1999 e, infine, senatore nel 2001. Il collegio si sofferma sulla "funzione di 'garanzia'" svolta nei confronti di Silvio Berlusconi, il quale temeva che i suoi familiari fossero oggetto di sequestri di persona, adoperandosi per l'assunzione di Vittorio Mangano presso la villa di Arcore dello stesso Berlusconi, quale "responsabilè e non come mero stalliere, pur conoscendo lo spessore delinquenziale dello stesso Mangano sin dai tempi di Palermo (e, anzi, proprio per tale sua qualità), ottenendo l'avallo compiaciuto di Stefano Bontate e Girolamo Teresi, all'epoca due degli uomini d'onore più importanti di Cosa nostra a Palermo". Il Tribunale ritiene, infine, che il pentito Giovanni Brusca non abbia voluto fornire "uno spontaneo e leale contributo all'accertamento della verità, sostanzialmente cercando di consegnare alle parti processuali elementi di valutazione nell'uno e nell'altro senso, evitando di accusare direttamente l'imputato, pur indicando parecchi dati utili al pm, aiutando la difesa ma alzando pericolosamente il tiro molto in alto, alludendo pesantemente a contatti diretti tra Mangano e Berlusconi nel 1994 ed indiretti tra quest'ultimo ed amici del boss di Porta Nuova". Il collegio conclude dicendo: "Non è dato sapere quale sia stato il motivo di questo atteggiamento del collaborante; sta di fatto che il Collegio, a fronte di tutte le risultanze probatorie acquisite, non ritiene di poter considerare le dichiarazioni di Giovanni Brusca come un valido ed affidabile contributo alle tesi in difesa del senatore Marcello Dell'Utri". (13 luglio 2005)

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